Boccolotti del Batte, tradizione della Valle del Musone

Nelle Marche tra antico e moderno e una campagna dolce a fare da sfondo.

La Valle del fiume Musone, tra Ancona e Macerata, è un incantevole bacino culturale e naturalistico delle Marche. La zona è disseminata di perle come Loreto, Recanati, Numana, Sirolo, Osimo, Offagna e Porto Recanati, il Parco della Riviera del Conero e il Santuario Mariano più importante d’Italia, borghi marinari incantevoli e una campagna dolce a fare da sfondo.

La regione si distingue per la dolcezza del paesaggio: la gran parte del territorio è collinare, i centri abitati si trovano sulle sommità dei rilievi e il paesaggio agrario, derivato dalla mezzadria, è caratterizzato da moltissimi appezzamenti delimitati da querce secolari e case coloniche.

Proprio in questo paesaggio caratteristico, sospeso tra antico e moderno, la tradizione fa capolino e racconta delle sue radici fondate sulle usanze contadine di un tempo. In una società rurale come quella marchigiana, in cui il ritmo della vita veniva scandito dalle esigenze dei campi e dunque della natura, un appuntamento fisso era rappresentato dal “Batte”, la mietitura del grano a Giugno.

Nelle campagne, questa era un’occasione talmente importante e imponente da mobilitare tutta la famiglia e il vicinato: un momento per riunirsi prima nel duro lavoro e poi nella dolce e meritata convivialità della tavola.

Nel giorno delle Batte, alle prime luci dell’alba i contadini si riunivano per poi dividersi in gruppi e linee sul campo da mietere. La prima linea, solitamente composta da uomini, procedeva con le falci, tagliando il grano rasente al terreno. Nella seconda linea si trovavano le donne, che procedevano alla raccolta delle spighe appena tagliate per legarle in fascine. Era poi compito dei ragazzi e dei bambini raccogliere queste fascine e caricarle sul biroccio, il carro che accompagnava i contadini, per creare covi di spighe accatastate che venivano lasciate essiccare al sole estivo in attesa di essere utilizzate.
Spesso la mietitura proseguiva per più giornate, e una volta terminata si procedeva con la prima aratura del terreno, per dare inizio ad un nuovo ciclo di vita.

Per pranzo, ci si raccoglieva intorno al tavolo con i familiari e i vicini.
In questa occasione era fondamentale fare bella figura con gli ospiti e offrire loro un pasto sostanzioso e rifocillante, in modo da proseguire il lavoro nel pomeriggio. La tradizione vuole che in questa occasione si preparasse il sugo del batte, un vero e proprio rituale della mietitura.

Il sugo, preparato con oca, rigaglie del pollo, soffritto e spezie, era ottimo per ricaricare i contadini dopo un duro lavoro e in vista del turno pomeridiano.
Le donne più anziane si operavano in cucina fin dalla mattina presto: in un grande “callerò” facevano soffriggere un battuto di grasso e magro insieme a carota, sedano e cipolla ridotti quasi in poltiglia. Un po’ per volta, a seconda del tempo di cottura di ogni pezzo, univano le rigaglie e i pezzi di pollo, di papera o di oca, si aggiustava di sale e pepe, si copriva d’acqua, si mescolava il tutto con cucchiai densi di conserva e si lasciava bollire per più di due ore.
Il profumo si spandeva per la casa e per l’aia. 

Il sugo del batte veniva utilizzato per condire la pasta, lunga fatta in casa come tagliatelle o “tacconi” (tagliatelle preparate con acqua e semola) o pasta corta come i “boccolotti”, simili a grandi rigatoni. Spesso la pasta veniva cotta direttamente nel sugo bollente: si mescolava a lungo e si aggiungevano manciate di pecorino grattugiato. Una volta ultimata la preparazione, il tutto veniva servito nei campi dentro i “reali”, contenitori usati per questa occasione.

Oggi imaccherò de lo batte, così come il rituale della mietitura, sono diventati una rarità e un retaggio della tradizione rurale, ma se si è fortunati li si può ancora gustare in occasione di simulazioni storiche, sagre paesane e rimembranze annuali. La loro bontà resta invariata, ma siamo certi che la fatica che precedeva il pasto, il profumo che invadeva i campi calpestati da uomini, donne e bambini intenti a mietere il grano, fossero un ingrediente fondamentale per gustare a pieno questo simbolo della convivialità contadina.


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